Sull’ultimo numero della rivista scientifica Blood Transfusion sono stati pubblicati i risultati di un interessante studio condotto in Italia dal titolo “Cambiamenti nei criteri di selezione dei donatori di sangue, dall’esclusione permanente degli omosessuali alla valutazione individuale dei rischi derivanti da comportamenti sessuali: nessuna evidenza di un impatto significativo nella diffusione del virus HIV in Italia”.
Per conoscere meglio le finalità di questa ricerca, abbiamo intervistato la dottoressa Barbara Suligoi, Direttore del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità.
«Negli ultimi 15 anni nel nostro Paese si è registrato un aumento della percentuale dei donatori di sangue – abituali od occasionali – risultati positivi al test dell’HIV. Poiché questo trend è continuato nel corso del tempo senza dare segni di declino, abbiamo voluto indagare i motivi del fenomeno. Abbiamo quindi preso in considerazione i dati sulle donazioni di tre anni: 1999, 2010 e 2011, cercando di capire se i cambiamenti introdotti nel 2001 nelle modalità di selezione dei donatori avessero avuto qualche incidenza.
È bene ricordare, infatti, che prima di tale data i donatori che dichiaravano di avere avuto rapporti omosessuali venivano esclusi in maniera permanente, mentre dal 2001 si è passati a valutare i comportamenti individuali di ciascun donatore e non più il semplice orientamento sessuale (chiunque abbia avuto rapporti sessuali a rischio di trasmissione di malattie infettive viene escluso dalla donazione per un periodo di 4 mesi, ndr).
Negli ambienti trasfusionali era stato sollevato il dubbio che l’aumento dei donatori risultati positivi al test dell’HIV fosse riconducibile proprio a questi cambiamenti, ma tutte le analisi da noi effettuate non hanno rilevato nessun aumento significativo – nel periodo da noi preso in considerazione – della proporzione degli omosessuali rispetto agli eterosessuali sul numero totale di donatori sieropositivi. Questo risultato, unito al fatto che l’ultimo caso di contagio da virus dell’HIV tramite trasfusione in Italia risale ormai a otto anni fa, ha dimostrato che la sospensione temporanea per 4 mesi è efficace e rappresenta un modello per altre nazioni».
Nello studio si sottolinea, inoltre, che la percentuale dei casi di sieroconversione tra i donatori italiani è superiore a quella degli altri Stati dell’Europa occidentale. Professoressa, quali possono essere le cause di tale incidenza?
«Questi dati suggeriscono che nel nostro Paese vi è un inadeguato livello di consapevolezza dei comportamenti a rischio, non solo tra i donatori di sangue abituali ma a livello più generale tra la popolazione. La bassa percezione del rischio di infezione da HIV per via sessuale sembra essere rilevante per gli eterosessuali, quanto per gli omosessuali, e sottolinea la necessità di sviluppare campagne di sensibilizzazione più chiara, esplicite e capillari. Finito il periodo di grande allerta nei confronti dell’AIDS, l’attenzione è calata e sono venute a mancare, anche a causa della mancanza di fondi, quelle iniziative di informazione e prevenzione che negli altri Stati vengono comunemente veicolate da associazioni non governative». Scarica l’articolo pubblicato su “Blood Transfusion”(in lingua inglese) Ascolta la versione integrale dell’intervista alla dott.ssa Suligoi: