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Il Servizio Civile in AVIS sognando i motori. Antonio: «Io, figlio di donatori, vi racconto perché sono qui»

Antonio Schiattarella ha 21 anni, studia Ingegneria Meccanica all’università Federico II di Napoli e, dallo scorso febbraio, con l’Avis Napoli 1, è impegnato nel Servizio Civile UniversaleAntonio Schiattarella ha 21 anni, studia Ingegneria Meccanica all’università Federico II di Napoli e, dallo scorso febbraio, con l’Avis Napoli 1, è impegnato nel Servizio Civile Universale

Le luci dei semafori sono rosse. Iniziano a lampeggiare. Poi scatta il verde e il rombo dei motori sovrasta qualunque cosa. La corsa, l’adrenalina, la voglia di arrivare prima degli altri per vedere quella bandiera a scacchi che sventola a testimonianza della vittoria. Della conquista del gradino più alto del podio.

Dietro quell’adrenalina, dietro a quella gloria, non c’è solo la capacità del pilota. C’è lo studio e il lavoro di un team di ingegneri e di meccanici che provano ogni assetto e nuove tecnologie possibile affinché quel motore e quella motocicletta, nella fattispecie, siano migliori e più performanti di tutto il resto.

In quel team di ingegneri sogna di entrarci anche Antonio Schiattarella. Ha 21 anni, studia Ingegneria Meccanica all’università Federico II di Napoli e, dallo scorso febbraio, con l’Avis Napoli 1, è impegnato nel Servizio Civile Universale. Ha la passione dei motori, forse ispirato dal papà che ha un concessionario, in particolare per le due ruote: «Una volta conseguita la laurea mi piacerebbe iniziare a lavorare in qualche grande casa automobilistica – racconta – ma se fosse di moto sarebbe un sogno. Quella è la mia passione».

 

Come mai hai deciso di avvicinarti ad AVIS e al Servizio Civile?

«I miei genitori da circa quindici anni donano il sangue. Una volta diventato maggiorenne ho iniziato anche io, successivamente ho poi scoperto di poter entrare in questa realtà attraverso il Servizio Civile. A febbraio ho iniziato».

 

Quali erano le tue aspettative e di cosa ti piace occuparti in particolare?

«Come ho scritto anche nel modulo di iscrizione, sono molto bravo in informatica, quindi mi occupo di tutto ciò che riguarda computer, apparati elettronici e procedure di inserimento e archiviazione dei donatori e delle loro schede. Inoltre provvedo io a stampare i bollini che poi vengono applicati, insieme al codice a barre, sulle provette per il riconoscimento dei donatori».

 

Antonio Schiattarella

Antonio Schiattarella

 

Cosa significa per te essere parte attiva di una realtà che fa della solidarietà e del volontariato i propri principi cardine?

«Credo che la scelta di donare il sangue sia una delle cose più importanti che si possano fare. Capire che il bisogno di sangue non cessa mai e che senza le scorte necessarie le attività ospedaliere si fermerebbero, significa essere cittadini responsabili e sensibili alle necessità della collettività. In questo AVIS svolge un lavoro straordinario. Per me che sono donatore, nonostante la mia età, è normale essere qui e fare la mia parte. Tutti i miei coetanei dovrebbero farlo, perché è un’esperienza che aiuta a crescere e che forma a 360° non solo sotto il punto di vista sociale, ma anche lavorativo».

 

Quanto è stato importante secondo te il ruolo del volontariato nella fase dell’emergenza Coronavirus?

«Per noi non è stato semplicissimo gestire un momento così delicato. Io e gli altri ragazzi con cui faccio il Servizio Civile avevamo iniziato poco prima del lockdown e ci siamo trovati costretti a gestire tutto da casa. Nonostante l’emergenza e la poca esperienza acquisita fino a quel momento, siamo riusciti a contenere la situazione e a garantire a tutti le informazioni e i servizi di cui avevano bisogno».

 

L’impegno del Servizio Civile può migliorare ancora in qualcosa? Se sì, in cosa?

«Per quanto mi riguarda, essendo io al quarto anno di università, riesco a gestire i tempi tra studio e lavoro qui in AVIS. Tuttavia credo sarebbe utile garantire un orario un po’ più elastico per andare incontro alle esigenze di questi studenti che, a differenza mia, hanno corsi accademici da dover seguire per forza. Sarebbe un modo per incentivare sempre più giovani a compiere questa scelta».

 

Quale consiglio daresti a un giovane che si approccia al mondo del volontariato?

«Direi che è il primo lavoro in cui ci si devono assumere delle responsabilità. È una cosa che va fatta e l’ho detto anche a tanti miei amici. Non è un impegno proibitivo, ma vale oro come crescita personale: aiuta a prendere le cose sul serio e serve a imparare a risolvere i problemi da soli senza dover ogni volta aspettare che sia il referente di turno a intervenire al posto nostro».

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