Il numero è altissimo: 310. Sono le donazioni che Guido Savadori, 70enne di Cesena, ha effettuato dal 1980 alla scorsa settimana, quando per limiti di età è dovuto “andare in pensione”. Un cammino straordinario frutto di passione, impegno civile e senso di responsabilità. Ma anche di profonda umanità e umiltà perché, come lui stesso racconta, «se sono arrivato fino a questo punto è grazia alla fortuna. La salute mi ha permesso di compiere questo gesto periodicamente e quindi eccomi qui».
Tutto inizia 42 anni fa, per caso, quando vede un’autoemoteca di fronte a un bar: «Ho voluto provare e da quel momento non mi sono più fermato. Durante il mio percorso sono stato sempre seguito dal personale sanitario dell’Avis di Ravenna che mi ha coccolato e accompagnato ogni giorno. Pur non avendo figli – prosegue – mi sono sempre preoccupato di tramandare a tutte le persone che conoscevo il valore della mia scelta: più sono i donatori, più c’è disponibilità di sacche per i pazienti che ne hanno bisogno». E lui in tutto questo tempo di sacche ne ha riempite tante, sia di sangue che di plasma: «In molti mi chiedono come io abbia fatto ad arrivare a 310 donazioni e ogni volta spiego che è stato possibile grazie al fatto che ho alternato sangue e plasma. Mi dispiace essermi dovuto fermare, ma la regola prevede questo e quindi, pur con rammarico, devo dire che va bene così».
Sono giornate particolari per Guido. La notizia del traguardo con cui interrompe la sua “carriera” da donatore sta facendo il giro di testate e tv nazionali, ma lui affronta tutto con calma e pacatezza. E anche con un pensiero al futuro e alle nuove generazioni: «Non mi sento una celebrità, credo semplicemente di aver offerto un contributo attivo a quelle persone che senza emocomponenti non potrebbero curarsi e vivere. Sono fatto così, quando prendo un impegno lo porto avanti al massimo delle mie possibilità. Credo che fare qualcosa per gli altri sia un dovere umano che riguarda ciascuno di noi. Ai giovani dico di non avere paura, di farsi avanti, perché donare è il primo passo per avere cura di sé stessi. Se sono stato sempre bene – conclude – è perché il personale dell’Avis mi ha sempre visitato e controllato: si dona solo se si è in salute e si è in salute solo se ci si controlla. Non dobbiamo perdere il contatto con la collettività di cui siamo parte: riscopriamo i valori civili e sociali senza concentrarci solo su noi stessi».
Come ha spiegato il presidente dell’Avis Provinciale di Ravenna, Marco Bellenghi, «Guido è un donatore modello che, fin dal mio arrivo in associazione, è riuscito a trasmettere anche a me sicurezza e consapevolezza sul nostro ruolo. Rappresenta la persona di cui avremmo bisogno oggi, un esempio positivo per i giovani. Proprio quello del ricambio generazionale è un tema che ci riguarda da vicino: abbiamo tanti nuovi donatori, ma che donano meno rispetto agli altri. Questo significa che pur mantenendo lo stesso numero di volontari, perdiamo in quantità raccolte. Quella di Guido – conclude – è una storia che bisognerà raccontare sempre».