Bilanci di fine anno e obiettivi di mandato, parola ad Avis Regionale Svizzera
Si chiude con l’intervista al presidente Vincenzo Ingui la rubrica avviata lo scorso 26 novembre. Ecco cosa ci ha raccontato
Gli ultimi dati ufficiali dicono che, ogni anno, in Svizzera vengono effettuate circa 277mila donazioni di sangue. Numeri che vedono coinvolto il 2,4% della popolazione complessiva. Possiamo dire, senza timori reverenziali, che la donazione in questo Paese porta la firma di Avis. È il 1965, infatti, quando Emilio Violi fonda l’Avis Zurigo, dopo che i lavoratori stagionali italiani manifestavano difficoltà ad accedere ai centri trasfusionali (a questo link il documentario realizzato da Radiotelevisione Svizzera).
C’era un po’ di diffidenza da parte degli svizzeri, almeno nella fase iniziale, perché si temeva che il sangue donato servisse per essere inviato in Italia o per curare solo gli italiani ricoverati negli ospedali locali. Da qui l’esigenza di “ricostruirsi” un’immagine, di dimostrare quali valori e sentimenti caratterizzassero i nostri connazionali.
Con la nascita, pian piano, delle varie Avis Comunali, l’associazione diventa un punto di riferimento sull’intero territorio. Ed è proprio con il presidente Vincenzo Ingui che si chiude la rubrica di AVIS Nazionale che, dallo scorso 26 novembre, ogni settimana ha dato voce e spazio ai presidenti delle sedi Regionali. Un appuntamento che ha permesso a ciascuno di spiegare in che modo le realtà locali abbiano risposto nel 2021 alle difficoltà generate dal Covid e, soprattutto, di conoscere obiettivi e strategie che caratterizzeranno i rispettivi mandati.
Vincenzo Ingui
Presidente che bilancio possiamo tracciare per il 2021?
«Per noi si è trattato di un momento di transizione, in particolare sotto il profilo delle cariche associative. L’età media dei dirigenti, infatti, è piuttosto alta e stiamo provando a coinvolgere più giovani per favorire il ricambio generazionale. Dal punto di vista della raccolta, Avis offre solo supporto ai centri trasfusionali, non siamo noi a organizzare e gestire le donazioni. Un qualcosa che, in termini di numeri, ci sta penalizzando».
Eppure Avis e Svizzera dovrebbero essere legate a doppio filo: la donazione, qui, l’ha portata l’associazione…
«Negli anni ’60 il livello di consapevolezza era diverso. Si percepiva un senso di appartenenza maggiore e la raccolta ne beneficiava. Pian piano questo movimento è andato scemando e oggi arrivare alle persone è molto più complicato, anche in virtù di un regime di privacy che non ci permette di raccogliere i dati di chi dona il sangue».
Che percezione vi è oggi della donazione di emocomponenti?
«Finora la tendenza diffusa era quella di reclutare i donatori italiani, mentre un tema su cui personalmente mi sto battendo è proprio quello di aprire questo gesto a tutti. Il sangue e gli emocomponenti in generale servono a tutti e non devono conoscere barriere: ecco perché è fondamentale che questa scelta venga compiuta da chiunque, italiani e non».
E in merito al plasma invece?
«Viene donato, ma occorre fare molto di più. Avremmo bisogno di un contatto più diretto con i centri trasfusionali e, soprattutto, di essere maggiormente coinvolti nell’organizzazione e nella gestione delle giornate di raccolta».
Quali sono i tre obiettivi che vorrebbe centrare nel corso del suo mandato?
«Prima di tutto, creare un gruppo giovani che contribuisca a ringiovanire la dirigenza associativa che, come detto, ha un’età media piuttosto avanzata. Poi vorremmo che i centri trasfusionali ci rendessero più partecipi dell’attività sul territorio. E infine fornire maggiore supporto alle nostre 12 Avis Comunali, dopo che negli ultimi anni addirittura 7 hanno cessato la propria attività. Incrementare la sensibilizzazione sul territorio è fondamentale per il nostro futuro».
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