«Il terrore dei bambini e il viaggio per arrivare fino a qui sono cose che non dimenticheremo»
Olha e Hanna sono due sorelle ucraine. Grazie ad AVIS sono arrivate in Italia dove Olha, affetta da ipertensione polmonare, potrà curarsi: «Qui ci sentiamo al sicuro e percepiamo l’amore e la bontà delle persone»
Gino Strada, fondatore dell’associazione umanitaria Emergency scomparso lo scorso agosto, diceva: «Il mondo dovrebbe essere così: chi ha bisogno, va aiutato». Olha e Hanna sono state aiutate e sono qui, in Italia, al sicuro. Sono due sorelle ucraine. Hanno lasciato la loro città e raggiunto il nostro Paese grazie al corridoio umanitario attivato da AVIS Nazionale insieme al Comune di Cernusco sul Naviglio (dove saranno ospitate), alla sede locale dell’Avis e a “Sister Dalila”, una fondazione ucraina nata per sostenere e proteggere adulti e bambini affetti dalla malattia di Olha: l’ipertensione polmonare. Nelle scorse settimane, sempre grazie al corridoio umanitario, erano giunti in Italia Svitlana e Oleksander insieme ai loro due figli. Negli occhi hanno ancora la disperazione, il disorientamento, la sofferenza non solo loro, ma di tutte quelle persone, soprattutto bambini, incontrate in quello che mai come in questo caso dobbiamo definire “il viaggio della speranza”.
Ce lo raccontate? Come è iniziato il percorso per arrivare fino a qui?
«Quando eravamo ancora in Ucraina suonavano le sirene di continuo e dovevamo nasconderci nei rifugi per sfuggire ai bombardamenti. Come noi tante persone provenienti anche da altre città: nessuno aveva voglia di parlare, bastava guardare i loro occhi. Si capiva tutto da lì: paura e disperazione non avevano bisogno della voce. Ciascuno voleva solo dormire e riposare senza sentire le bombe o la propria vita in pericolo. Quando siamo partite per raggiungere il confine con la Polonia, dal finestrino della macchina vedevamo file di persone che, a piedi, stavano facendo il nostro stesso percorso. Chi aveva in braccio i propri figli, chi il cagnolino: scene che non auguro di vivere a nessuno».
Perché, che altro avete visto? Cosa vi ha colpito di più?
«Ci risulta difficile raccontarlo. Quello che nessuno ci toglierà dalla mente è l’immagine di tanti bambini, soli, senza i genitori, che cercavano di arrivare al confine con la Polonia. Sembrava non provassero alcuna emozione, come se fossero immobilizzati, paralizzati da una condizione che mai avrebbero immaginato di vivere. Altrettanto scioccante è stato il viaggio in treno: considerate che negli scompartimenti con le cuccette per la notte in genere possono stare al massimo 4 persone, mentre ce ne stavano 12. I corridoi delle carrozze erano pieni di gente, non si poteva nemmeno andare in bagno perché avrebbe voluto dire camminare sopra ai passeggeri. Cose orribili e difficili da raccontare. Abbiamo anche avuto attacchi di panico durante i quali, oltre a farci forza a vicenda, provavamo a ricordare quello che diceva la mia dottoressa: “Sarà un viaggio lungo e difficile, ma bisogna viverlo per quello che è e aspettare che tutto passi”».
Quando siete uscite dall’aeroporto di Bergamo, e c’erano i volontari di AVIS ad aspettarvi, vi siete emozionate molto. Che cosa ha significato quel momento?
«Abbiamo visto un’accoglienza incredibile. Sentire il benvenuto nella nostra lingua, vedere la bandiera dell’Ucraina e i fiori, sono state cose che ci hanno fatto capire di essere al sicuro, che qualcuno ci stava aspettando per farci tirare un sospiro di sollievo. L’inferno che avevamo dovuto attraversare per arrivare fino a qui ormai era alle spalle grazie all’amore e alle attenzioni di AVIS e di tutte le persone che non ci hanno fatto sentire sole».
Che cosa vi lega all'Italia?
«Oltre che per la nostra passione per l’arte e la religione cristiana, siamo felici di essere qui perché il vostro è uno dei pochi Paesi in grado di fornire assistenza sanitaria ai pazienti con ipertensione polmonare. Ecco perché vi diciamo “Grazie” per questa straordinaria opportunità: qui siamo al sicuro dalla guerra e Olha può ricevere la terapia di cui ha bisogno».