Tumori del sangue, migliori prospettive per i pazienti

«Oggi alcune forme di leucemia acuta guariscono in circa l’80 per cento dei pazienti; il linfoma di Hodgkin in circa il 90; la forma più frequente di linfoma aggressivo, il linfoma diffuso a grandi cellule B, in oltre la metà dei casi. E poi i nuovi trattamenti per il mieloma hanno raddoppiato la durata della risposta alle cure con una sempre migliore qualità di vita; i malati di leucemia mieloide cronica, che avevano una sopravvivenza media di circa cinque anni, con l’unica eccezione dei pochi casi che potevano essere guariti con il trapianto di midollo osseo, convivono oggi senza problemi con la loro malattia, con la prospettiva di invecchiare come tutti». Così Giovanni Pizzolo, direttore dell’Unità di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata di Verona, in apertura del Congresso nazionale della Società italiana di ematologia, sintetizza gli importanti progressi fatti contro i tumori del sangue, di cui si registrano circa 36.500 nuovi casi ogni anno nel nostro Paese.
MIX DI CURE- «Sono molte le forme di tumore del sangue ed eterogenee fra loro per caratteristiche biologiche, decorso clinico, prospettive di guarigione, approcci diagnostici, complessità delle cure - chiarisce Pizzolo -. Grazie agli straordinari risultati della ricerca, a cui hanno dato notevole contributo molti gruppi italiani, sono state messe a punto negli ultimi anni nuove e più efficaci strategie terapeutiche che hanno portato, per alcune tipologie di neoplasie, prospettive di guarigione e il prolungamento della sopravvivenza a risultati impensabili». Si tratta spesso di soluzioni complesse che si basano, in molti casi, su un mix dei vari trattamenti disponibili: dal trapianto di cellule staminali emopoietiche a nuove categorie di farmaci biologici (capaci di eliminare selettivamente le cellule malate interagendo con particolari strutture che ne regolano la crescita e l’espansione), dalla radioterapia fino a un migliore utilizzo di vecchi e nuovi chemioterapici.
EFFETTI COLLATERALI- Nel caso del linfoma di Hodgkin, ad esempio, si interviene con la polichemioterapia convenzionale. «I pazienti si ammalano solitamente in età molto giovane, spesso inferiore ai trent’anni, e la necessità nei casi più avanzati di utilizzare protocolli sequenziali di chemioterapia e radioterapia molto intesivi può avere un impatto rilevante sulla fertilità o può predisporre all’insorgenza di seconde neoplasie o danni di tipo cronico del sistema cardio-respiratorio - dice il presidente di Sie,Fabrizio Pane, responsabile della divisione di Ematologia dell’università Federico II di Napoli -. Sono stati però presentati una serie di studi sull’impiego di una nuova molecola farmacologica appartenente alla classe degli anticorpi monoclonali che hanno mostrato risultati assolutamente soddisfacenti nella terapia dei casi più resistenti al trattamento convenzionale. L’anticorpo monoclonale in questione (Brentuximab Vedotin) contiene un chemioterapico che viene diretto solo alle cellule malate, risparmiando i tessuti normali, consentendo di recuperare alla risposta completa una percentuale molto ampia di soggetti resistenti alla prima linea di trattamento, senza ricorrere ad ulteriore polichemioterapia. Risparmiando così tossicità ed effetti collaterali di lungo termine per i pazienti».
COMPATIBILI A METÀ- Tra i linfomi di tipo non-Hodgkin, ha dimostrato invece notevole efficacia un «vecchio» chemioterapico, utilizzato con modalità innovative, la bendamustina. Per i pazienti che ricadono o che non ottengono una risposta completa, la chemioterapia ad alte dosi, seguita da autotrapianto di cellule staminali, rappresenta ora l’approccio terapeutico standard, con il vantaggio che la cura così strutturata può risultare eradicante anche nel paziente molto anziano. Infine, nei casi più gravi di leucemia e di linfomi aggressivi, una risposta terapeutica viene dal trapianto di tipo aploidentico (di cellule staminali emopoietiche da un donatore familiare compatibile al 50 per cento). «Sinora - conclude Pane - nel trapianto da donatore familiare la scelta era ristretta al fratello o la sorella del paziente che mostravano compatibilità completa. Ma tra fratelli la possibilità a priori di essere del tutto compatibili è del 25 per cento e la progressiva riduzione del tasso di natalità osservata negli ultimi decenni in Italia ha ridotto la probabilità di trovare un donatore nella famiglia del paziente. Ecco perché la possibilità di utilizzare genitori, figli o fratelli compatibili al 50 per cento consente di allargare moltissimo la platea dei possibili donatori per i pazienti affetti dalle forme gravi di tumori del sangue». Articolo tratto da www.corriere.it del 22 ottobre 2013 www.corriere.it/salute/sportello_cancro/13_ottobre_21/migliorano-prospettive-pazienti-tumore-sangue-e3307a9e-3a54-11e3-970f-65b4fa45538a.shtml