«Non sono una donatrice, ma la mia vita è legata a doppio filo a chi, ogni giorno, compie questo gesto così straordinario». Probabilmente non se lo sarebbe mai immaginato. Nessuno è mai pronto per esperienze del genere. Soprattutto se le proprie giornate sono scandite dal ritmo, dalla frenesia, dal contatto continuo con tante, tantissime persone. Elena Forcella arriva dal mondo della musica, si occupava di organizzazione di eventi a Milano e ha avuto anche un trascorso da speaker radiofonica.
Elena Forcella
Ha 41 anni e vive a Casalpusterlengo, in provincia di Lodi. La sua storia, quella che ci racconta per la puntata odierna di GOCCIAdopoGOCCIA, inizia nel 2020. E ha un titolo amarissimo: leucemia mieloide acuta. È una malattia dovuta alla crescita incontrollata di cellule immature a livello del midollo osseo, la “fabbrica” delle cellule del sangue: queste cellule (blasti) lentamente rimpiazzano il normale tessuto midollare, da cui deriva un’anomala produzione delle cellule del sangue (globuli rossi, piastrine e globuli bianchi). Può svilupparsi in maniera rapida e senza che in precedenza vengano riscontrate anomalie negli esami del sangue. Ed è quello che capita a lei: «Ho iniziato a non sentirmi bene quasi all’improvviso – racconta – In realtà avevo notato degli ematomi sul corpo già sul finire del 2019, ma non gli avevo dato importanza. Poi a gennaio sono cominciate febbre, emorragie e altri sintomi, svenimento compreso, motivo per cui sono andata in ospedale». Da Lodi la trasferiscono al Policlinico San Matteo di Pavia dove, ricorda, «mi sono trovata catapultata in una realtà nuova per me, isolata. Ero abituata ad avere intorno tante persone, mentre di colpo i miei unici contatti erano diventati medici e infermieri».
Gli esami del sangue hanno valori troppo bassi e di lì a poco arriva la diagnosi. Inizia un percorso di attesa per il trapianto di cellule staminali emopoietiche, durante il quale Elena riceve oltre 300 trasfusioni di sangue in circa 10 mesi di ospedalizzazione: «La malattia non mi ha dato tempo di rendermi conto di cosa mi stesse capitando – ricorda – mi ha investito, lasciandomi solo la possibilità di fare un bilancio di quella che fino a quel momento era stata la mia vita. I miei affetti, i miei traguardi professionali: ora dovevo solo pensare a recuperare più forze possibili per vincere questa sfida». Una sfida alla quale, pochissimo dopo il ricovero, se ne aggiunge un’altra, che abbiamo però combattuto anche noi: la pandemia. «In realtà quando sono scoppiati i primi casi di Covid io mi trovavo già in isolamento, in quanto i pazienti come me sono considerati fragili a causa delle difese immunitarie indebolite dalla chemioterapia. Non potevo nemmeno percorrere il corridoio del reparto e vedevo cambiare ogni giorno le infermiere, perché la loro presenza era richiesta nei reparti Covid allestiti nell’ospedale. Erano le uniche persone che vedevo fisicamente, per fortuna che ci sono gli smartphone, così ogni tanto effettuavo una videochiamata per salutare i miei genitori».
Elena dice che la sua vita è legata a doppio filo con AVIS e ADMO perché «entrambe promuovono la cultura di un gesto che a me ha permesso e permette di vivere: la donazione. Se ho potuto ricevere oltre 300 trasfusioni è perché qualcuno quel sangue lo aveva donato, così come è fondamentale che sempre più giovani si iscrivano all’IBMDR (il Registro nazionale italiano dei donatori di midollo osseo, ndr)». Nel suo caso, il trapianto di cellule staminali emopoietiche è stato possibile grazie a quelle prelevate dal sangue di Paride, uno dei fratelli di Elena (gli altri due sono Emanuele e Lucilla), risultato compatibile al 100%: «L’intervento è stato effettuato il 26 agosto 2020 – spiega – e per me è stato come rinascere. Da quasi due anni ho iniziato una seconda vita, come se non fosse stato solo un trapianto di cellule, ma di tutto. Un reset anche sotto l’aspetto psico-emotivo».
Il libro scritto da Elena
Il desiderio di condividere la sua storia, non solo per dire grazie ai donatori e a chi le permette di essere qui, ma anche per dare speranza a chi sta affrontando il suo stesso percorso, ha portato Elena a scrivere “L’ombra che incontra la luce”, un libro che, come lei stessa lo definisce, «è un viaggio introspettivo durante la malattia. Devo ringraziare il presidente dell’Avis Comunale di Casalpusterlengo, Casimiro Carniti, che mi ha fornito un supporto straordinario e l’incentivo a mettere nero su bianco la mia esperienza. Quando vado nelle scuole superiori per spiegare l’importanza di diventare donatori – conclude – parto proprio da qui, dallo spiegare cosa sia possibile fare dicendo sì alla donazione».
LEGGI la testimonianza di Loretta
LEGGI la testimonianza di Ariela
LEGGI la testimonianza di Alberto
LEGGI la testimonianza di Marco
LEGGI la testimonianza di Pina
LEGGI la testimonianza di Giorgio
LEGGI la testimonianza di Angela
LEGGI la testimonianza di Tony
LEGGI la testimonianza di Viviana
LEGGI la testimonianza di Lucia
LEGGI la testimonianza del professor Sergio Amadori (AIL)
LEGGI la testimonianza di Michela e Anna
LEGGI la testimonianza di Cettina
LEGGI la testimonianza di Barbara