Nella vita può capitare di trovarsi costretti ad affrontare la diagnosi di una malattia, che sia nostra o di una persona a noi cara. Come impatta questa condizione su mente, corpo e affetti? Come si fa ad accettarla? Come dobbiamo comportarci in merito a salute e benessere? A queste e ad altre domande ha cercato di fornire risposte “Obiettivo Futuro – Obiettivo Salute”, il meeting organizzato dalla Consulta Nazionale AVIS Giovani il 21 e 22 ottobre scorsi.
Circa 140 ragazze e ragazzi provenienti da molte regioni italiane si sono ritrovati al Savoia Hotel Regency di Bologna, tutti legati da uno stesso comun denominatore: la passione per il volontariato. In Avis e non solo. Come già avvenuto in eventi precedenti, anche stavolta la Consulta ha aperto le porte ad altre associazioni e ospiti (AIDO, ADMO, CRI, ArciGay, CNG, European Youth Forum) che, insieme ai relatori, hanno potuto confrontarsi su uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: l’Obiettivo 3, che riguarda appunto salute e benessere. Dopo i saluti del presidente di Avis Regionale Emilia Romagna, Maurizio Pirazzoli, del presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, e del presidente di Emoservizi, Silvano Gironacci (per l’occasione i partecipanti sono stati omaggiati di badge e maglietta personalizzati), il meeting si è aperto con il panel moderato dalla giornalista Lorella Bertoglio. Obiettivo, offrire alla platea riflessioni e spunti a partire da precise informazioni medico-scientifiche rispetto ai temi dell’HIV, della salute mentale e del trapianto di midollo e organi.
Il primo a intervenire è stato il professor Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’università di Milano, divenuto particolarmente noto all’opinione pubblica durante la pandemia di COVID-19. Ha raccontato la storia dell’HIV, da come il virus è stato trasmesso all’uomo a quelli che sono oggi i progressi della scienza in merito alle possibilità di trattamento per i soggetti che ne sono affetti. Il professore ha sottolineato l’importanza della terapia antiretrovirale e spiegato in che modo si trasmette il virus, presentando importanti dati a riguardo. Durante il meeting, Galli ha espresso la sua “speranza”, ma anche estrema preoccupazione per la disinformazione che, ancora oggi, ruota intorno a questo tema: «Si sta verificando quella che io definisco come una sorta di analfabetismo di ritorno – ha detto – Significa che le nuove generazioni stanno iniziando anche loro ad essere poco informate a riguardo perché purtroppo la comunicazione che viene diffusa su HIV e AIDS è tutt’altro che buona e scrupolosa».
Da qui le ripercussioni che un mancato stato di salute ottimale può generare anche a livello psicologico. Il dottor Gerardo Favaretto, infatti, psichiatra esperto in salute mentale, ha sollevato l’importanza della correlazione tra la salute mentale, appunto, e le diverse fasi della vita che ogni soggetto e ogni generazione si trova ad affrontare. In particolare, ha messo in evidenza un concetto ben chiaro anche a noi donatori: «Prendersi cura è un qualcosa che riguarda tutta la comunità, un contesto generale in cui ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte per il bene del prossimo».
Un concetto ripreso dalla dottoressa Barbara Catellani, che fa parte dell’equipe di Chirurgia Oncologica Epato-Bilio-Pancreatica e dei Trapianti di Fegato del Policlinico di Modena, già intervenuta anche in occasione del meeting dello scorso maggio a Catania. La dottoressa ha parlato del trapianto come la migliore soluzione laddove un organo non risponda più alle terapie, spiegando che «grazie a un donatore possono essere salvate fino a 7 vite», ma sottolineando il dato concernente la ancora ampia disparità tra la domanda e la disponibilità di organi, cogliendo così l’occasione per sottolineare l’importanza della sensibilizzazione: «Un trapianto non sarebbe possibile senza le donazioni di sangue – ha detto – basti pensare che per un intervento del genere possono essere utilizzate, in media, fino a 16 sacche di sangue. Se ragioniamo su quanti trapianti effettuiamo, è facile capire quanto sia fondamentale ciò che ognuno di voi compie ogni giorno».
Dopo alcuni esempi di trapianti riusciti, la dottoressa ha poi spiegato cosa si intende per “trapianto cross-over”: «Si intende l’evento in cui il donatore e il ricevente non sono compatibili a causa della presenza di determinati anticorpi o per altri motivi di incompatibilità. Quando si verifica questa situazione, la procedura standard di trapianto da donatore vivente è preclusa. Tuttavia, se ci si trova in presenza di un’altra coppia in situazione analoga, donatori e riceventi delle due diverse, se biologicamente compatibili, si incrociano permettendo così di effettuare l’intervento».
L’incontro è poi proseguito con l’intervento di Andrea Bontadini, direttore del Centro trasfusionale di AsFo (Friuli Occidentale), che ha parlato alla platea di un altro tipo di trapianto, quello di midollo osseo. In particolare ha spiegato come diventare donatori e quanto sia importante iscriversi al registro: «In molti hanno paura di questo tipo di donazione – ha dichiarato – ma oggi in circa l’80% dei casi il prelievo delle cellule staminali avviene attraverso il sangue periferico, una procedura che a differenza del prelievo di midollo non richiede il ricovero in ospedale». Il trapianto di midollo è molto spesso l’opzione terapeutica migliore per curare molte patologie del sangue, non ultime le leucemie, come ha ricordato il dottor Francesco Barbato dell’U.O. Ematologia del policlinico Sant’Orsola di Bologna, che ha poi ulteriormente ringraziato i donatori di sangue «perché senza di voi l’ematologia non potrebbe esistere».
La giornata di sabato si è conclusa con le testimonianze dei rappresentanti delle altre associazioni, mentre nella domenica mattina c’è stato spazio per le attività di informazione, prevenzione e screening organizzate dai volontari di CRI, AIDO, ADMO, CNG e ARCIGAY.