«Nella fase iniziale della sua vita eravamo mia moglie ed io quelli più spaventati e colpiti dalla sua situazione. Ma lui è più bravo e vive, come è giusto che sia, in assoluta serenità. Grazie a Dio, anzi, grazie ai donatori». Angelo Macripò inizia così il suo racconto.
Andrea durante un'arrampicata
Vive a Ponte San Nicolò, un paese in provincia di Padova. È papà di Andrea che, esattamente una settimana fa, ha compiuto 15 anni. Come tutti i ragazzi della sua età fa sport (gioca a tennis), va a scuola, ride e scherza con i suoi amici. Un cammino lungo il quale, da quando ha nemmeno un anno, ha al fianco una “compagna” di viaggio: la talassemia. «Sapevo di essere portatore sano – spiega Angelo – e con mia moglie avevamo il sospetto che potesse esserlo anche lei. Prima del concepimento, per essere più sicuri, abbiamo effettuato degli accertamenti, ma ci venne assicurato che non ci sarebbero stati rischi. Ci siamo fidati». E almeno inizialmente pareva avessero fatto bene.
Il piccolo Andrea ha un percorso regolare fin da quando viene alla luce. A ridosso del primo anno, però, qualcosa comincia a cambiare: «Faticava a raggiungere il peso e l’altezza adeguati, tendeva a dormire più del dovuto e, quando ha iniziato a manifestare un’improvvisa febbre molto elevata, l’abbiamo portato al pronto soccorso di Padova». Lì la diagnosi: la sonnolenza, il pallore, erano alcuni degli effetti della talassemia. Da lì la prima trasfusione per arrivare fino ad oggi in cui il ragazzo si sottopone a due o tre sedute al mese in cui riceve ogni volta due sacche: in pratica la sua terapia media oscilla tra le 4 e le 6 sacche ogni 20-30 giorni: «È la dose di cui ha bisogno per mantenere l’emoglobina ai livelli normali e la giusta regolarità a livello osseo. Mio figlio sta bene e se la situazione è questa lo dobbiamo a un territorio come quello in cui viviamo dove il sangue non è mai mancato, nemmeno durante l’emergenza generata dal Covid. I donatori sono straordinari e se non fosse per loro Andrea non potrebbe vivere in questo modo».
Andrea con l'attestato di partecipazione al corso di nuoto
15 anni è un’età difficile, papà Angelo lo sa bene, ma nonostante questo racconta come suo figlio affronti la quotidianità: «Riesce a rendere normale ogni giorno, come è giusto che sia, anche quello dell’appuntamento in ospedale – dice – la chiamiamo “la giornata speciale, la giornata della ricarica”, perché con lui ci ricarichiamo anche noi nel vedere che sta bene. Ho spesso avuto timore che potesse reagire negativamente alla condizione in cui si trova, ma non è mai successo. Nemmeno quando ha partecipato al Dynamo Camp (il programma di terapia ricreativa che ospita gratuitamente, per periodi di vacanza e svago, bambini e ragazzi malati, in terapia o nel periodo di post ospedalizzazione, ndr) e ha conosciuto coetanei o pazienti più piccoli di lui che convivevano con situazioni più difficili. Il suo carattere lo porta ad aprirsi con le persone di cui si fida, ma molte cose non le ha condivise nemmeno con noi, come se volesse tenere per sé l’esperienza di quei giorni».
Il senso di tutto, però, è dato dalla consapevolezza: c’è una difficoltà, è vero, ma c’è anche la possibilità di affrontarla e superarla. Con l’impegno di tutti: del singolo, di una famiglia, di un reparto ospedaliero. «E di chi quelle sacche le riempie. Grazie».
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