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Plasma dei pazienti guariti per curare il Coronavirus. Il direttore del Cns, Liumbruno: «Terapie non definitive»

Utilizzare gli anticorpi presenti nel sangue di chi ha combattuto e superato il coronavirus per facilitare il recupero degli altri pazienti. È l’obiettivo con cui in Cina, nell’ospedale di Wuhan, è stata avviata una terapia a base di “plasma di convalescenza”, ottenuto appunto da coloro che sono riusciti a guarire dal virus che tanto timore sta generando a livello globale.   In base a quanto dichiarato dalle autorità scientifiche locali, il primo paziente ad aver ricevuto questo tipo di trattamento è stato già dimesso e ce ne sarebbero almeno altri 10 pronti a seguire lo stesso iter terapeutico, motivo per cui è stata sollecitata la donazione di coloro che a oggi risultano guariti.   Seppur già sperimentata nel 2016 per debellare Ebola, questa tecnica non deve però disorientare. Come ha spiegato il direttore del Centro nazionale sangue, Giancarlo Liumbruno, «si tratta di terapie empiriche che ogni tanto vengono riproposte non tanto a livello sperimentale, ma proprio perché non si sa bene in quale direzione muoversi». Quello su cui punta l’attenzione Liumbruno è l’impossibilità di considerare definitivo un intervento simile: «Le limitazioni sono molte ed è anche piuttosto scarsa l’evidenza dei risultati. È vero che i pazienti guariti, in questo caso da coronavirus, hanno sviluppato anticorpi specifici, ma è altrettanto vero che il loro plasma potrebbe riportare valori non proprio ottimali per una somministrazione, motivo per cui non si può considerare come una terapia efficace per qualsiasi tipo di infezione».   Il valore della donazione del plasma, tuttavia, non ne esce intaccato. Se il direttore fa capire quanto sia poco o nulla attendibile questo tipo di trattamento, confermando come l’Italia viva una situazione di «assoluta tranquillità» in merito a possibili rischi di contagio, di contro ribadisce il ruolo fondamentale del plasma nella produzione «di farmaci salvavita che permettono a migliaia di persone nel nostro Paese e fuori di potersi curare. La donazione deve rimanere un pilastro imprescindibile per il raggiungimento dell’autosufficienza nazionale».

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Utilizzare gli anticorpi presenti nel sangue di chi ha combattuto e superato il coronavirus per facilitare il recupero degli altri pazienti. È l’obiettivo con cui in Cina, nell’ospedale di Wuhan, è stata avviata una terapia a base di “plasma di convalescenza”, ottenuto appunto da coloro che sono riusciti a guarire dal virus che tanto timore sta generando a livello globale.   In base a quanto dichiarato dalle autorità scientifiche locali, il primo paziente ad aver ricevuto questo tipo di trattamento è stato già dimesso e ce ne sarebbero almeno altri 10 pronti a seguire lo stesso iter terapeutico, motivo per cui è stata sollecitata la donazione di coloro che a oggi risultano guariti.   Seppur già sperimentata nel 2016 per debellare Ebola, questa tecnica non deve però disorientare. Come ha spiegato il direttore del Centro nazionale sangue, Giancarlo Liumbruno, «si tratta di terapie empiriche che ogni tanto vengono riproposte non tanto a livello sperimentale, ma proprio perché non si sa bene in quale direzione muoversi». Quello su cui punta l’attenzione Liumbruno è l’impossibilità di considerare definitivo un intervento simile: «Le limitazioni sono molte ed è anche piuttosto scarsa l’evidenza dei risultati. È vero che i pazienti guariti, in questo caso da coronavirus, hanno sviluppato anticorpi specifici, ma è altrettanto vero che il loro plasma potrebbe riportare valori non proprio ottimali per una somministrazione, motivo per cui non si può considerare come una terapia efficace per qualsiasi tipo di infezione».   Il valore della donazione del plasma, tuttavia, non ne esce intaccato. Se il direttore fa capire quanto sia poco o nulla attendibile questo tipo di trattamento, confermando come l’Italia viva una situazione di «assoluta tranquillità» in merito a possibili rischi di contagio, di contro ribadisce il ruolo fondamentale del plasma nella produzione «di farmaci salvavita che permettono a migliaia di persone nel nostro Paese e fuori di potersi curare. La donazione deve rimanere un pilastro imprescindibile per il raggiungimento dell’autosufficienza nazionale».

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