Cinque anni per contribuire a rendere ancor più solido il sistema trasfusionale italiano. Cinque anni durante i quali, con l’impegno di professionisti, associazioni e istituzioni, riuscire a centrare sfide e obiettivi, primo tra tutti quello dell’autosufficienza di farmaci plasmaderivati. Ma senza dimenticare un nemico, tanto silenzioso quanto pericoloso, che già nei mesi scorsi ha messo a dura prova strutture ospedaliere e non solo e che, anche in queste settimane, sta tornando all’attacco: il Covid-19.Dal 1° agosto Vincenzo De Angelis è il nuovo direttore del Centro nazionale sangue e ricoprirà questo ruolo, appunto, per i prossimi cinque anni. Già responsabile del Dipartimento di Medicina Trasfusionale dell’AOU Santa Maria della Misericordia di Udine, De Angelis è stato nominato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, e in passato ha preso parte, insieme a Cns e World Federation of Hemophilia, a programmi di cooperazione per il supporto terapeutico dei pazienti emofilici nei Paesi in via di sviluppo.Insieme a lui, in un periodo tradizionalmente difficile in termini di scorte come quello estivo e in vista della possibile nuova recrudescenza autunnale della pandemia (che in realtà si sta già riaffacciando in queste settimane), abbiamo tracciato un bilancio sulla situazione attuale e provato a gettare uno sguardo al futuro, in particolare su quelle strategie operative che dovranno condurre il nostro Paese al raggiungimento dell’autosufficienza. Direttore, come vive questo nuovo incarico e con che spirito si sta preparando al quinquennio che la vedrà al vertice del Cns?«Sono entusiasta e grato al ministro Speranza di aver pensato a me per questo incarico così prestigioso. Ho trovato un ambiente ben organizzato e collaboratori capaci. Ho provato un profondo dolore nell’essermi trovato a iniziare questa avventura perdendo un amico e un collega affidabile come il dottor Gabriele Calizzani, ma il nostro sistema è composto da persone che hanno ben chiaro il senso del dovere». Quali saranno le linee guida che caratterizzeranno questo quinquennio?«Le idee e il mio pensiero si basano sul concetto che nessuno di noi è solo e può contare su un sistema che si regge su tre gambe: professionisti, donatori e istituzioni. Oggi che sono qui continuerò a ricordare gli obiettivi che avevo quando, per così dire, mi trovavo in trincea: non deve mancare neanche una goccia di sangue e neanche una goccia deve andare sprecata. Sangue ed emoderivati devono sempre essere a disposizione di tutti, in particolare in un periodo storico in cui la distribuzione demografica gioca contro di noi». Il direttore del Centro nazionale sangue, Vincenzo De AngelisSi riferisce al cosiddetto ricambio generazionale che è sempre più lento?«Non soltanto. È ovvio che dobbiamo lavorare molto sul tessuto sociale affinché la base dei donatori si allarghi. Oggi non siamo ancora in grado di sostituire in toto le persone che raggiungono il limite d’età per donare e questo, a lungo andare, diventa un problema sempre più serio. L’altro aspetto su cui intervenire è quello del ricambio del personale sanitario: per farlo è necessario rendere la medicina trasfusionale affascinante alle giovani menti di oggi che diventeranno i professionisti di domani». La carenza di sangue si sta facendo sentire anche in questa estate: che fotografia possiamo scattare, al momento, sul nostro sistema trasfusionale?«Una fotografia in chiaroscuro. Stiamo affrontando una fase che si ripete ogni anno, ma in questo 2020 possiamo dire che la pandemia non ci ha di certo agevolato. Le carenze estive sono una costante, ma la loro variabile è la durata nel tempo. Per questo è necessario riprendere il discorso della programmazione insieme alle associazioni per prepararci a essere garanti di affidabilità in situazioni particolarmente critiche». Come si sta pensando di agire in vista della possibile recrudescenza autunnale del virus?«Occorre un confronto con associazioni e professionisti. La nuova ondata non è detto che arrivi, ma dobbiamo comportarci come se dovesse manifestarsi: non possiamo farci trovare impreparati, anche alla luce di quanto vissuto nei mesi scorsi. Sarà importante garantire il regolare afflusso di donatori nei centri trasfusionali e, allo stesso tempo, assicurare la loro salvaguardia così come quella di tutto il personale sanitario». Per farlo conteremo sulla lezione più importante che ci ha lasciato la pandemia, la programmazione?«Prenotazione e programmazione sono le strategie per continuare a garantire il fabbisogno. Lavorare sul questi aspetti e non sull’emergenzialità è l’unico modo per contare sulle scorte necessarie: è inutile riversarsi nei centri e ritrovarci con scorte esorbitanti quando non serve, per poi andare in difficoltà in situazioni di maggiore richiesta. Se riusciremo a fare questo riusciremo anche a prevenire le carenze estive». L’autosufficienza di farmaci plasmaderivati è un obiettivo ancora da raggiungere: a che punto siamo?«L’autosufficienza è una parola molto ambiziosa, ma il tema che più deve starci a cuore è quello dell’utilizzo appropriato di questi medicinali. Nel mese di luglio siamo andati leggermente al di sotto di quanto previsto per la raccolta plasma (i dati ufficiali sono stati pubblicati nei giorni scorsi, ndr), ma è un effetto della pandemia, quindi la cosa non mi preoccupa più di tanto. Sarà importante coinvolgere associazioni e professionisti anche su questo tema: incrementare la raccolta del plasma è indispensabile, così come è indispensabile che le aziende farmaceutiche convenzionate forniscano le migliori tecnologie per una altrettanto migliore resa del plasma donato». Un obiettivo che sta coinvolgendo anche l’Unione Europea, basti pensare al progetto Horizon o al finanziamento per l’acquisto di macchinari per la plasmaferesi…«Non potrebbe essere altrimenti. Il plasma è una materia prima per curare malattie gravi e croniche: non può essere trattato come un prodotto di serie B. Il 60% del plasma lavorato in Europa proviene dagli Stati Uniti: se il sistema si bloccasse, alla luce dei numeri che la pandemia sta generando oltreoceano, saremmo in difficoltà, anche se l’Italia, forte del suo 70-75% di immunoglobuline, potrebbe essere più fiduciosa di altri Paesi». I contagi stanno tornando ad aumentare: che impatto stanno generando sul sistema trasfusionale?«In questo momento non siamo in grado di stabilirlo. Si tratta di una fiammata che non ci si aspettava potesse arrivare così presto: la programmazione sarà fondamentale anche in tal senso. Servizi trasfusionali e associazioni dovranno stabilire uno slot dedicato alle donazioni necessarie a soddisfare il fabbisogno, così da evitare assembramenti e garantire a tutti il supporto necessario. A questo dovrà poi fare seguito una forma di comunicazione sempre migliore e costante tra associazioni e centri trasfusionali, così da veicolare i messaggi e le informazioni utili per tutti». Ci avviciniamo al periodo della vaccinazione anti-influenzale: quando prenderà il via e che coinvolgimento avranno i donatori?«La strategia vaccinale è un qualcosa che il Governo ha già anticipato per le categorie a rischio, tra cui ci saranno anche i donatori, e con la quale mi trovo assolutamente in linea. È un provvedimento necessario per eliminare effetti confondenti, visto che le sintomatologie del Covid-19 e del virus influenzale potrebbero essere scambiate. È importante per tutti, sia per chi è donatore che per chi non lo è, e per gli operatori sanitari. Nelle prossime settimane lavoreremo insieme alle associazioni di volontari per studiare insieme quelle che saranno le strategie comunicative migliori da attuare per promuovere la vaccinazione». Che appello si sente di rivolgere ai nostri donatori?«Il mio invito è quello di vaccinarsi e di donare sempre, non solo in questo periodo, ricordandosi di prenotare la donazione ed evitare le resse, perché sono pericolose anche nei centri trasfusionali, non solo in discoteca».
