Seguire le cure è importante, in particolare se si tratta di pazienti oncologici. Se poi a questa condizione si aggiungono gli effetti del Covid, la costanza nella terapia diventa fondamentale. Un vero e proprio salvavita, potremmo dire. Uno studio condotto da importanti centri italiani, e recentemente pubblicato sulla rivista Leukemia, ha dimostrato infatti che sospendere le cure anti cancro nei casi di tumori del sangue aumenta il tasso di mortalità per infezione da SARS-CoV-2. Stiamo parlando di chi è affetto da neoplasie mieloproliferative croniche, cioè forme tumorali che ogni anno nel nostro Paese colpiscono circa duemila persone e per le quali la terapia a base di ruxolitinib, un farmaco immunosoppressore, è tra le più adottate contro mielofibrosi e policitemia vera. La ricerca di cure contro il Covid si è concentrata sull’inibitore delle proteine JAK1 e JAK2 che risultano mutate nella quasi totalità dei pazienti interessati. Con il professor Alessandro Maria Vannucchi, ordinario di Ematologia all’Università di Firenze e tra gli autori dello studio, abbiamo provato a capire meglio come è stata condotta questa ricerca e che scenari può aprire non solo nella cura di queste malattie, ma anche nelle azioni di contrasto al virus.
Professore, quando e perché è iniziato questo studio?
«La nostra ricerca è stata condotta tra febbraio e giugno del 2020, coinvolgendo 175 pazienti, sia donne che uomini, di età media intorno ai 71 anni. Abbiamo voluto prendere in esame quelle persone colpite da neoplasie mieloproliferative croniche per capire, se e quanto, la terapia immunosoppressiva a base di ruxolitinib che devono seguire possa o meno influire di fronte all’infezione da Covid-19».
Come si è sviluppata l’analisi e a cosa ha portato?
«Abbiamo confrontato il tasso di mortalità da SARS-CoV-2 tra questa tipologia di pazienti e il resto della popolazione sana, in relazione a fattori come età o sesso: dai risultati è emerso che chi è affetto da mielofibrosi è molto più a rischio. Se dall’indagine togliamo questo gruppo di pazienti la differenza si riduce. Tutto questo porta a un’osservazione importante: chi sta assumendo un farmaco bersaglio come il ruxolitinib, quindi un immunosoppressore, è più soggetto a mortalità da Covid nel caso in cui sospenda la somministrazione. A differenza di quanto si potesse pensare, infatti, questo tipo di medicinale ha capacità antinfiammatorie proprio per contrastare infezioni come il Coronavirus e a supporto c’è il riscontro ottenuto dai soggetti normali a cui è stato somministrato il ruxolitinib proprio come antinfiammatorio contro il Covid».
Altri studi hanno analizzato gli effetti del virus sui pazienti ematologici: in cosa si differenzia il vostro?
«In realtà la nostra ricerca non si differenzia dalle altre, bensì si focalizza su forme tumorali più specifiche. Lo studio pubblicato su Lancet, ad esempio, era stato condotto coinvolgendo casi su più larga scala, mentre noi ci siamo concentrati sui pazienti con neoplasie mieloproliferative croniche».
Quali sono le malattie del sangue secondo lei più a rischio di fronte alla pandemia?
«Le neoplasie ematologiche si associano a un rischio infettivo più elevato, sia come conseguenza della patologia che delle cure che vengono seguite. L’importante è valutare caso per caso se la singola terapia vada attuata o rimandata, un’ipotesi quest’ultima percorribile solo per i casi cronici».
Sono previsti step successivi?
«Questo studio in quanto tale possiamo considerarlo concluso anche in virtù del fatto che adesso è iniziata la campagna vaccinale. Tuttavia c’è stata un’appendice, un secondo lavoro pubblicato, in cui si è visto che i pazienti con trombocitemia essenziale hanno un maggiore rischio di eventi trombotici legati all’infezione da Covid».
L’attività dei donatori può supportare questo percorso di ricerca?
«La disponibilità di emocomponenti, nella gestione di pazienti di questo tipo, è fondamentale ed è un qualcosa su cui è possibile contare solo grazie ai donatori. Ragionando poi in relazione al Covid, non bisogna dimenticare quanto importante ai fini della ricerca, e non solo, sia stata la donazione di plasma iperimmune, ecco perché è necessario sensibilizzare costantemente sull’importanza di questo gesto».
I tumori del sangue sono molti, ma la ricerca ha compiuto passi avanti importanti: questo studio che contributo può dare?
«Abbiamo fornito un’informazione preziosa: ottenere risposte cliniche è possibile anche durante la gestione del paziente. Le terapie devono sempre continuare e servono a migliorare costantemente la valutazione del paziente stesso: l’intensità di cura non deve mai ridursi, tantomeno in epoca pandemica».
Prima ha fatto accenno alla campagna vaccinale: esistono controindicazioni per questa tipologia di pazienti?
«Non abbiamo evidenze in tal senso, l’unica ipotesi è che una parte dei pazienti che sta seguendo terapie immunosoppressive possa immunizzarsi meno rispetto al resto della popolazione, ma nulla di più. Vaccinarsi contro il Covid è fondamentale ed è bene che tutti lo facciano: il prima possibile».