Il termine con cui viene identificato è sarcoma. Si tratta di un tumore raro che colpisce i tessuti molli sia negli adulti che nei bambini, dai muscoli ai vasi sanguigni e linfatici fino al tessuto adiposo, passando per tessuti connettivi, nervi e legamenti. A dispetto del nome, che può far pensare a una tipologia unica, sono circa 100 le forme maligne incluse in questa “grande famiglia”, ognuna con una storia e una risposta ai farmaci differente.
Dai primi anni del 2000, a sostenere la ricerca e gli approcci terapeutici contro i sarcomi c’è l’Italian Sarcoma Group, un’associazione di professionisti che nei giorni scorsi ha eletto il suo nuovo presidente. Anzi, “la” sua nuova presidente, la prima donna nella sua storia. Stiamo parlando della dottoressa Silvia Stacchiotti che, parallelamente, lavora all’INT (l’Istituto nazionale dei tumori) di Milano all’interno della Struttura Complessa di Oncologia Medica dei Tumori Mesenchimali dell'Adulto e Tumori Rari. Con lei abbiamo fatto il punto sulla situazione attuale nel nostro Paese, provando a capire fino a dove può ancora spingersi la ricerca per aiutare i tanti pazienti interessati e quanto i donatori di sangue ed emocomponenti possano fornire il loro prezioso supporto.
La dottoressa Silvia Stacchiotti
Dottoressa, prima di tutto congratulazioni per questa nomina. Cosa significa essere la prima donna presidente dell’ISG?
«Sono cresciuta qui dall’inizio della mia esperienza nel 2001. Se ho imparato cosa sono i sarcomi e come poter collaborare nella cura di queste malattie è grazie al lavoro che svolgo. Per me è un onore e una soddisfazione perché, attraverso l’impegno profuso in questi anni, l’Italia è riuscita a ottenere grande autorevolezza a livello internazionale in questo ambito. Riusciamo a collaborare e condurre studi insieme e questo all’estero desta apprezzamento e invidia allo stesso tempo. Spero che l’Italian Sarcoma Group continui a rinnovarsi costantemente. Per quel che riguarda me, è un privilegio essere la prima presidente donna: spero di essere apprezzata come una persona che fa bene il suo lavoro a prescindere dal mio sesso di appartenenza».
Dovendo tracciare un bilancio sullo scenario attuale che situazione ci troviamo di fronte?
«I sarcomi rappresentano una patologia, dal punto di vista della ricerca scientifica, affascinante. Sotto questo termine si raggruppano circa un centinaio di tumori maligni diversi, ognuno con una storia a sé e una risposta diversa ai farmaci. Circa il 20% dei pazienti che ne sono colpiti ha una forma ultra rara che ha un’incidenza pari a meno di un caso su un milione di abitanti ogni anno. La ricerca che ne deriva è estremamente complessa: ciò su cui stiamo lavorando è non solo la definizione biologica di questi tumori e della loro storia, ma sensibilizzare le istituzioni su quanto sia necessario creare un network tra le realtà coinvolte, associazioni dei pazienti comprese, e approvare i farmaci che agiscono attivamente contro queste forme. Purtroppo, rispetto ad altri tumori, i medicinali da impiegare per i sarcomi sono di meno, così come quelli ancora in via di sviluppo».
A che punto è la ricerca e quanto la pandemia ha intaccato questo ambito?
«La ricerca è molto vivace, anche se complicata, e beneficia di finanziamenti inferiori rispetto a quelli destinati ad altri studi. Il Covid, come per tutte le forme oncologiche, ha generato disagi per i pazienti aumentando le difficoltà di interventi e cure. L’INT non ha mai chiuso, quindi nel nostro caso il numero degli assistiti non si è ridotto. Tuttavia, in quest’ultimo periodo, stiamo assistendo a un’onda di ritorno di coloro che, nei mesi scorsi, non erano stati curati».
I sarcomi colpiscono sia pazienti adulti che pediatrici: ad oggi siamo in grado di ottenere una diagnosi precoce?
«I sarcomi sono forme rare, quindi ottenere una diagnosi precoce è ancora più complicato. Sarebbe importante averne una corretta nel momento in cui la patologia può essere sospettata. Tutte le volte in cui si registra una lesione che ha origine nei tessuti profondi, sarebbe utile che il paziente venisse indirizzato verso un centro specializzato per l’esame istologico: già questo sarebbe un importante passo avanti. Rivolgersi a centri di riferimento è fondamentale e i risultati che siamo riusciti a raccogliere in questi anni ne è la dimostrazione. La curva di sopravvivenza è in costate salita proprio per il miglioramento della chirurgia e per l’efficacia dei farmaci. Ad oggi, oltre il 50% delle persone a cui viene diagnosticato un sarcoma localizzato può guarire e il dato è in crescita. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che parliamo di un centinaio di tumori diversi, quindi i numeri possono variare in base alla tipologia e alla forma in cui si manifestano».
AVIS da anni è partner di realtà impegnate nella ricerca contro i tumori rari: in che modo i donatori potrebbero contribuire anche in questo campo?
«Le sacche di emazie sono strategiche per i pazienti che, in fase chirurgica, hanno necessità di trasfusioni. Senza i donatori qualsiasi reparto di chirurgia, compreso quello del nostro istituto, chiuderebbe. La sensibilità e l’attitudine che i volontari hanno nell’aiutare la ricerca è un qualcosa che ci permette di compiere costanti passi in avanti per la tutela della salute collettiva. La collaborazione con le associazioni è importantissima proprio per questo e quindi chissà che, così come avviene con i pazienti, non possa iniziare un percorso insieme anche con AVIS».