È una malattia genetica del sangue, chiamata anche “anemia falciforme” per via della forma, appunto, a forma di falce che assumono i globuli rossi. Il 19 giugno è la data in cui, ogni anno, si celebra la Giornata mondiale della drepanocitosi, una patologia ereditaria e non contagiosa, ma che è presente sin dalla nascita. Tra i suoi effetti principali c’è l’aumento della viscosità ematica, la riduzione della quantità di ossigeno disponibile per i tessuti e la formazione di fenomeni vaso-occlusivi. È provocata da una mutazione del gene che dirige la cosiddetta “sintesi di emoglobina”, la proteina del sangue che cattura l’ossigeno dai polmoni e lo trasporta ai vari tessuti e, allo stesso modo, raccoglie parte dell’anidride carbonica per riportarla ai polmoni da cui viene eliminata. In attesa che entro i prossimi cinque anni vengano immessi sul mercato i nuovi farmaci al momento ancora in fase di sperimentazione, ad oggi l’unica terapia che consente alle persone affette da drepanocitosi di sopravvivere e avere un’ottima qualità di vita consiste nelle trasfusioni di sangue: «Proprio per questo dobbiamo dire grazie ai donatori e alla loro scelta volontaria che ci permette di essere qui, di curarci e di poter avere una vita alla pari di chi non ha problemi di salute». La locandina dell’evento organizzato da United Onlus per venerdì 19 giugnoChi parla è Costanza Musci, paziente drepanocitica e Responsabile dei progetti per questa malattia per United Onlus, la Federazione nazionale delle associazioni di talassemia, drepanocitosi e anemie rare. Proprio per fare il punto su questa patologia e capire come e cosa fare per sostenere al meglio la ricerca scientifica, United ha organizzato un incontro live per venerdì 19 giugno che, a partire dalle ore 20:00, sarà possibile seguire collegandosi alla pagina Facebook della Federazione. Un appuntamento che, come spiega Musci, «rappresenta la continuazione di quelli già tenuti sulla talassemia e in occasione della Giornata mondiale del donatore di sangue». In questa occasione, però, ci sarà anche una ospite d’eccezione, la professoressa di Medicina interna all’università di Verona, Lucia De Franceschi. Che l’attività dei donatori sia fondamentale per le persone affette da drepanocitosi era stato testimoniato anche da Agathe Wakunga, la giovane di origini congolesi intervenuta a febbraio al convegno “Senza confini” organizzato a Padova da AVIS Nazionale: «Sapere che c’è sangue sempre disponibile per noi non ha prezzo – racconta Musci – basti pensare che solo per garantire le trasfusioni di cui ho bisogno io ogni tre settimane servono circa 60 persone ogni anno. Tutto questo avviene solo grazie alla collaborazione che AVIS e le altre associazioni ci offrono per coordinare al meglio le attività nei vari centri trasfusionali». Ma qual è la situazione al momento in Italia e cosa è necessario fare per garantire sempre maggiori cure e assistenza per questo tipo di pazienti? «Negli ultimi anni abbiamo assistito a un forte aumento di soggetti drepanocitici alimentato anche dal flusso migratorio (l’area mediterranea e l’Africa sono le zone in cui questa patologia è maggiormente diffusa, ndr). Tuttavia, il problema sta iniziando a non riguardare più solo la Sicilia o lo stesso continente africano, ma anche le regioni del Centro e Nord Italia, nonché le aree a ridosso di grandi capitali europee come Londra o Parigi – racconta – Per questo stiamo lavorando, insieme ad altre associazioni estere di pazienti, per sviluppare una serie di azioni volte a sostenere la ricerca e accelerare, il più possibile, l’immissione sul mercato di nuovi farmaci». Per fare tutto questo è però necessario tracciare i pazienti: «Intanto stiamo iniziando a farlo a livello nazionale – conclude – così da creare una rete tra i vari centri di riferimento e far partire i trial clinici sulle nuove terapie. Nel frattempo, però, è importante che le persone continuino a donare il sangue per avere le cure salvavita di cui abbiamo bisogno e garantire le scorte necessarie agli ospedali anche in virtù della sempre più costante ripartenza delle attività chirurgiche».
