È uno dei luoghi più simbolici della città. Il posto dove ogni anno vengono inseriti i nomi delle personalità più illustri che sono venute a mancare. Il Famedio del Cimitero Monumentale di Brescia dallo scorso 10 novembre ospita un pezzo di straordinaria importanza nella storia di AVIS e dell’intero mondo del volontariato bresciano e nazionale: il professor Mario Zorzi. Scomparso il 10 maggio 2019, Zorzi, prima di ricoprire il ruolo di presidente Nazionale dal 1979 al 1987, è stato alla guida dell’Avis Comunale dal 1948 al 1978. Nel 1960 fu nominato al vertice anche della sede Provinciale per poi diventarne presidente onorario e, nel 1972, della Regionale Lombardia di cui fu co-fondatore. Una vita in prima linea non solo per professione medica, ma anche per spirito di umana solidarietà e disponibilità nel mettere a disposizione della collettività le proprie competenze. Un impegno che ha contribuito, negli anni, a consolidare sempre di più il rapporto tra l’associazione e il sistema sanitario nazionale. Con il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, abbiamo voluto ricordare la figura del professore e spiegare cosa e quanto abbia rappresentato non solo per AVIS, ma per la sua stessa città.
Il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono
Sindaco, può spiegarci in che modo l’amministrazione ha deciso di iscrivere il professore al Famedio?
«Si è trattato di una decisione unanime presa dalla commissione che, ogni anno, deve vagliare le segnalazioni delle personalità che ci hanno lasciato. Un team di rappresentanti di istituzioni, società civile e mezzi di comunicazione effettua questa selezione estremamente rigida che prevede l’iscrizione di massimo tre nominativi per volta, spesso anche meno se non ritenuti sufficientemente meritevoli di essere ricordati e celebrati in questa maniera. Quest’anno, nel momento in cui è emersa la possibilità di scrivere il nome di Mario Zorzi nel Famedio, non c’è stato alcun dubbio».
Che ricordo conserva di questa figura così importante per la nostra associazione e non solo?
«Un uomo esemplare che ha saputo intrecciare caratteristiche innegabili sia sotto il profilo professionale che personale, offrendo la propria predisposizione al lavoro con gli altri e le sue capacità organizzative. Una figura che incuteva rispetto, ma di estrema umanità. Una persona lucida rispetto agli obiettivi che si dava, chiamata a ricoprire ruoli di responsabilità, ma mai con la pretesa di doverli ottenere a tutti i costi. Zorzi è riuscito a impersonificare ogni aspetto della nostra città».
L'ex presidente di AVIS Nazionale, il compianto professor Mario Zorzi
Cosa ha rappresentato Zorzi per la città di Brescia, lui che è stato anche consigliere comunale?
«Una personalità multiforme. Quello che mi ha colpito di una figura come la sua è che non si è limitato a essere specialista solo nella materia che ha studiato e che lo ha impegnato professionalmente per tutta la vita, ma si è voluto occupare anche della sua città. Della sua gente. Ha deciso da sempre di mettere a disposizione le sue competenze e le sue capacità di relazione in un perimetro più grande. Ecco perché è stato iscritto al Famedio, perché è questa attitudine di eccellenza versatile che merita di essere ricordata e onorata».
Zorzi è stato presidente di AVIS Nazionale e non solo: quanto questa decisione rafforza il legame tra l’associazione e la città?
«Quando AVIS ha pensato di fondare la sua sede a Brescia ha trovato nel Comune un fedele alleato. Tra di noi c’è da sempre un rapporto molto forte di reciproco aiuto e sostegno. L’associazione qui è vista come un’istituzione che non si discute: un radicamento e una presenza costante sul territorio che, nel corso degli anni, hanno permesso di attrarre moltissime donne, uomini e giovani a donare il sangue. E tutto questo è confermato dai numeri che sottolineano l’efficienza di AVIS in strutture, organizzazione e capacità gestionale: un sodalizio che non è affidato solo all’emozione del momento in cui si dona, ma a una base che sostiene una richiesta di sangue enorme».
Il Famedio all'interno del Cimitero Monumentale di Brescia
Il territorio di Brescia è stato tra i più colpiti dal Covid: quanta importanza hanno ricoperto i donatori in questa fase?
«Nei limiti che le norme e le disposizioni di sicurezza imponevano, l’AVIS ha fatto parte e fa parte sempre di quel reticolo associativo che ci ha permesso di reggere l’impatto con l’onda che ci ha colpito. In particolare nella prima fase, un momento in cui noi, come il resto del mondo, non sapevamo cosa fosse e come si potesse contrastare il Coronavirus. Alla fine del mese di marzo l’ASST degli Spedali Civili di Brescia era l’ospedale con il maggior numero di pazienti positivi ricoverati in Europa. Senza questo patrimonio associativo che è l’AVIS non ce l’avremmo fatta a resistere».