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Giornata mondiale delle cardiopatie congenite, questa la situazione nel nostro Paese

Sono circa 4mila i neonati che, ogni anno, presentano forme di cardiopatie congenite. Una media di uno ogni 100. È questo il quadro fornito da Sin (Società Italiana di Neonatologia) e Sicp (Società Italiana di Cardiologia Pediatrica e delle Cardiopatie Congenite), in occasione del 14 febbraio, data in cui ogni anno ricorre la Giornata mondiale per riportare l’attenzione di futuri genitori e istituzioni su un problema sempre estremamente attuale. Queste malformazioni sono tra le più frequenti alla nascita: alcune sono caratterizzate da difetti cardiaci che consentono un trattamento medico o chirurgico, mentre la maggior parte di esse si manifestano in ritardo e, solo nel 30% dei casi, si risolvono spontaneamente senza interventi. Ad oggi i progressi nelle tecniche chirurgiche e cardiologiche hanno permesso di raggiungere una sopravvivenza a 12 mesi superiore al 90%, purché diagnosi e trattamento avvengano tempestivamente. Dati ufficiali della Fondazione Bambino Gesù di Roma riportano un aumento del numero di cardiopatici congeniti che raggiungono l’età adulta (si parla dell’80-85%), tanto da creare una vera e propria nuova categoria di persone che hanno bisogno di assistenza: i Guch (Grown up congenital heart disease, cioè Malattia cardiaca congenita cresciuta). Per fornire una risposta a queste persone, negli ultimi cinque anni l’ospedale pediatrico capitolino ha avviato una collaborazione con il policlinico Gemelli che prevede un percorso di assistenza a 420 pazienti con età superiore ai 18 anni. In base alla ricerca di Sin e Sicp, ci sarebbero fattori genetici all’origine delle cardiopatie, sia di carattere cromosomico che di alterazione dei geni. A questi si possono poi aggiungere elementi ambientali, infettivi o tossici, come alcol e farmaci, anche se in percentuale minore. Corretta prevenzione, ecografie e screening specialistici, consentirebbero di diagnosticare eventuali forme già durante la gravidanza, uniti all’adozione di stili di vita appropriati (come non assumere alcool durante l’intera gravidanza e nel periodo di allattamento) e alla vaccinazione contro le principali malattie infettive a rischio teratogeno (cioè di anomalie o malformazioni nell’embrione).Sono circa 4mila i neonati che, ogni anno, presentano forme di cardiopatie congenite. Una media di uno ogni 100. È questo il quadro fornito da Sin (Società Italiana di Neonatologia) e Sicp (Società Italiana di Cardiologia Pediatrica e delle Cardiopatie Congenite), in occasione del 14 febbraio, data in cui ogni anno ricorre la Giornata mondiale per riportare l’attenzione di futuri genitori e istituzioni su un problema sempre estremamente attuale. Queste malformazioni sono tra le più frequenti alla nascita: alcune sono caratterizzate da difetti cardiaci che consentono un trattamento medico o chirurgico, mentre la maggior parte di esse si manifestano in ritardo e, solo nel 30% dei casi, si risolvono spontaneamente senza interventi. Ad oggi i progressi nelle tecniche chirurgiche e cardiologiche hanno permesso di raggiungere una sopravvivenza a 12 mesi superiore al 90%, purché diagnosi e trattamento avvengano tempestivamente. Dati ufficiali della Fondazione Bambino Gesù di Roma riportano un aumento del numero di cardiopatici congeniti che raggiungono l’età adulta (si parla dell’80-85%), tanto da creare una vera e propria nuova categoria di persone che hanno bisogno di assistenza: i Guch (Grown up congenital heart disease, cioè Malattia cardiaca congenita cresciuta). Per fornire una risposta a queste persone, negli ultimi cinque anni l’ospedale pediatrico capitolino ha avviato una collaborazione con il policlinico Gemelli che prevede un percorso di assistenza a 420 pazienti con età superiore ai 18 anni. In base alla ricerca di Sin e Sicp, ci sarebbero fattori genetici all’origine delle cardiopatie, sia di carattere cromosomico che di alterazione dei geni. A questi si possono poi aggiungere elementi ambientali, infettivi o tossici, come alcol e farmaci, anche se in percentuale minore. Corretta prevenzione, ecografie e screening specialistici, consentirebbero di diagnosticare eventuali forme già durante la gravidanza, uniti all’adozione di stili di vita appropriati (come non assumere alcool durante l’intera gravidanza e nel periodo di allattamento) e alla vaccinazione contro le principali malattie infettive a rischio teratogeno (cioè di anomalie o malformazioni nell’embrione).

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